Brevi note sulla tutela del credito professionale dopo la pronuncia di Cass. S.U. 23.02.2018 n. 4485

06 aprile 2018

Il 23 febbraio scorso è stata pubblicata la sentenza n. 4485/2018 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Superata qualche difficoltà di lettura, appesantita da periodi lunghi e frequenti incisi, ci si rende conto della notevole importanza di questa pronuncia, che in quarantacinque pagine affronta e risolve, anche con lodevole senso pratico, diverse questioni che erano aperte in tema di tutela giudiziale del credito dell’avvocato, limitatamente all’ipotesi di maturazione del credito in dipendenza di prestazioni giudiziali civili.

Come noto, l’entrata in vigore del D. Lgs. 1°.9.2011 n. 150 (c.d. “decreto dei tre riti”) aveva innovato la disciplina in materia con i seguenti interventi, desumibili dagli artt. 3, 4, 14 e 34, comma 16°:
- abrogando gli artt. 29 e 30 della L. 13.6.1942 n. 794;
- modificando come segue il testo dell’art. 28 di detta legge: “Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, se non intende seguire il procedimento di cui agli artt. 633 e segg. del cod. proc. civ., procede ai sensi dell’art. 14 del D. Lgs 1°.9.2011 n. 150”;
- stabilendo, con l’art. 14 suddetto, sotto la rubrica “Delle controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato”, quanto segue:
"1. Le controversie previste dall'articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e l'opposizione proposta a norma dell'articolo 645 del codice di procedura civile contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo.
2. E’ competente l'ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l'avvocato ha prestato la propria opera. Il tribunale decide in composizione collegiale.
3. Nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente.
4. L'ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile".

In tal modo, l’art. 14 suddetto aveva delineato un nuovo tipo di procedimento sommario di cognizione, ben presto qualificato dagli interpreti come “speciale” e “obbligatorio”, per distinguerlo da quello disciplinato dagli artt. 702-bis e segg. c.p.c., che aveva, invece, caratteristiche di generalità e facoltatività, per essere utilizzabile in generale “nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica” e per essere alternativo al rito ordinario, a scelta della parte attrice; fermo restando che le modalità di redazione del ricorso restavano quelle indicate dal codice, così come il rito, salve le modifiche imposte dai menzionati artt. 3, 4 e 14 del D. Lgs. 150/2011.
In particolare, dalla disciplina introdotta nel 2011 si evince che il “nuovo” procedimento sommario di cognizione speciale e obbligatorio, riservato alla liquidazione dei compensi giudiziali civili degli avvocati, si differenzia da quello codicistico perché:
- si svolge in unico grado dinanzi all’ufficio giudiziario di merito (tribunale o corte d’appello) dinanzi al quale l’avvocato ha prestato la sua opera;
- non solo l’avvocato, ma anche il cliente possono stare in giudizio personalmente;
- l’ordinanza decisoria che definisce il giudizio è riservata al collegio del tribunale o della corte d’appello ed è inappellabile;
- a differenza di quanto può accadere nel procedimento codicistico ai sensi dell’art. 702-ter, commi 2° e 3°, c.p.c., in quello speciale obbligatorio il collegio non può dichiarare inammissibile la domanda né disporre la prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie;
- invece, se una causa riservata al rito sommario speciale e obbligatorio viene proposta in forme diverse, il giudice dispone con ordinanza il mutamento del rito, facendo proseguire il procedimento secondo il rito sommario speciale.

Nella concreta applicazione di questo impianto normativo si era ben presto delineato un problema assai delicato, foriero di complicazioni pregiudizievoli per gli avvocati. In breve, in riferimento all’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011, la giurisprudenza e la dottrina prevalenti si erano orientate a proseguire l’interpretazione che si era in precedenza consolidata in relazione ai previgenti artt. 28, 29 e 30 della L. n. 794/1942: nel senso che anche il nuovo rito sommario speciale introdotto nel 2011, al pari del previgente rito camerale risalente al 1942, era ritenuto applicabile solo laddove la controversia sulla liquidazione dei compensi avesse ad oggetto il mero quantum; mentre in caso di contestazioni, da parte del cliente, tali da investire l’an debeatur, anche il nuovo rito sommario speciale, al pari del previgente rito camerale, era ritenuto inapplicabile, con conseguente inammissibilità del ricorso proposto dall’avvocato. Tutto ciò portava sovente a conseguenze paradossali: perché se l’avvocato presentava il ricorso ex art. 14 D. Lgs. 150/2011, convinto che il problema fosse solo sul quantum, ma il cliente, costituendosi, sollevava inopinate contestazioni incidenti sull’an debeatur, i Giudici non esitavano a dichiarare inammissibile l’originario ricorso, che finiva così per essere paralizzato da una inammissibilità – come dire? – sopravvenuta in dipendenza delle eccezioni proposte dal convenuto, cui spesso veniva addirittura riconosciuto il beneficio della rifusione delle spese del procedimento.
Un meccanismo davvero infernale a tutto danno degli avvocati!

Questo orientamento interpretativo ha retto per alcuni anni nella giurisprudenza di merito anche successiva al 2011, grazie al supporto di varie pronunce della Corte di Cassazione (17053/2011, 13640/2010, 23344/2008, 17692/2007), intervenute in ordine all’applicazione del previgente rito camerale. Finché il Supremo Collegio (VI Sezione), con sentenza n. 4002/2016, ha affermato che le controversie per la liquidazione dei compensi “devono essere trattate con la procedura prevista dall’art. 14 [del D.Lgs. n. 150/2011] anche nell’ipotesi in cui la domanda riguardi [rectius: la causa investa] l’an della pretesa, senza possibilità per il giudice di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilità della domanda”.

Tale arresto, tuttavia, non era valso a dettare in via definitiva i criteri per l’applicazione della normativa in materia, anche perché buona parte della dottrina e dei giudici di merito continuavano ad essere convinti della bontà dell’interpretazione prevalente prima di detta sentenza del 2016, tanto che, ad esempio, in seno alla seconda sezione civile del Tribunale di Bologna si era mantenuta la “linea guida” basata sull’ammissibilità del rito sommario speciale solo in caso di controversie sul quantum. Ne è espressione un’articolata ordinanza in data 19.5.2016 a firma della Dott.ssa Candidi Tommasi (per esteso in “Giuraemilia” del 31.5.2016). Non solo: neppure il Supremo Collegio aveva nel frattempo mostrato univocità di vedute. Le sentenze n. 548/2017 e 3993/2017 si erano poste nella scia della n. 4002/2016. Invece le sentenze n. 19873/2015 e 12248/2016 avevano affermato che se l’ordinanza decisoria pronunciata all’esito di un procedimento sommario speciale aveva statuito anche sull’an del compenso e non solo sul quantum, essa era impugnabile con l’appello e non col ricorso per cassazione: in tal modo limitando in concreto l’operatività dell’art. 14 del D. Lgs. N. 150/2011 alle controversie sul solo quantum dei compensi.

Investite della questione, le Sezioni Unite hanno ora sancito i seguenti principi di diritto.
La prima questione posta dall'ordinanza di rimessione è stata risolta con l'affermazione del seguente principio di diritto:
<<A seguito dell'introduzione dell'art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, la controversia di cui all'art. 28 della l. 794 del 1942, come sostituito dal citato d.lgs., può essere introdotta: a) o con un ricorso ai sensi dell'art. 702-bis, cod. proc. civ., che dà luogo ad un procedimento sommario "speciale", disciplinato dal combinato disposto dell'art. 14 e degli artt. 3 e 4 del citato d.lgs e dunque dalle norme degli artt. 702-bis e seg. cod. proc. civ., salve le deroghe previste dalle dette disposizioni del d.lgs.; b) o con procedimento per decreto ingiuntivo ai sensi degli artt. 633 e segg. cod. proc. civ., l'opposizione avverso il quale si propone con ricorso ai sensi dell'art. 702-bis e segg. cod. proc. civ. ed è disciplinata come sub a), ferma restando l'applicazione delle norme speciali che dopo l'opposizione esprimono la permanenza della tutela privilegiata del creditore e segnatamente degli artt. 648, 649 e 653 cod. proc. civ. (quest'ultimo da applicarsi in combinato disposto con l'ultimo comma dell'art. 14 e con il penultimo comma dell'art. 702-ter cod. proc. civ.). Resta, invece, esclusa la possibilità di introdurre l'azione sia con il rito di cognizione ordinaria e sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico, di cui agli artt. 702-bis e segg. cod. proc. civ.>>.
La seconda questione posta dall'ordinanza di rimessione è risolta con l'affermazione del seguente principio di diritto:
<<La controversia di cui all'art. 28 della l. n. 794 del 1942, tanto se introdotta con ricorso ai sensi dell'art. 702-bis cod. proc. civ., quanto se introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo, ha ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell'avvocato tanto se prima della lite vi sia una contestazione sull'an debeatur quanto se non vi sia e, una volta introdotta, resta soggetta (nel secondo caso a seguito dell'opposizione) al rito indicato dall'art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 anche quando il cliente dell'avvocato non si limiti a sollevare contestazioni sulla quantificazione del credito alla stregua della tariffa, ma sollevi contestazioni in ordine all'esistenza del rapporto, alle prestazioni eseguite ed in genere riguardo all'an. Soltanto qualora il convenuto svolga una difesa che si articoli con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di compensazione, di accertamento con efficacia di giudicato di un rapporto pregiudicante), l'introduzione di una domanda ulteriore rispetto a quella originaria e la sua esorbitanza dal rito di cui all'art. 14 comporta - sempre che non si ponga anche un problema di spostamento della competenza per ragioni di connessione (da risolversi ai sensi delle disposizioni degli art. 34, 35 e 36 cod. proc. civ.) e, se è stata adita la corte di appello, il problema della soggezione della domanda del cliente alla competenza di un giudice di primo grado, che ne impone la rimessione ad esso - che, ai sensi dell'art. 702-ter, quarto comma. cod. proc. civ., si debba dar corso alla trattazione di detta domanda con il rito sommario congiuntamente a quella ex art. 14, qualora anche la domanda introdotta dal cliente si presti ad un'istruzione sommaria, mentre, in caso contrario, si impone di separarne la trattazione e di procedervi con il rito per essa di regola previsto (non potendo trovare applicazione, per l'esistenza della norma speciale, la possibilità di unitaria trattazione con il rito ordinario sull'intero cumulo di cause ai sensi dell'art. 40, terzo comma. cod. proc. civ.).>>

Lo spazio limitato che si vuole dedicare a queste brevi note non consente una esegesi completa dei princìpi espressi dalle Sezioni Unite né l’analisi delle argomentazioni svolte per giungervi.
Qui vale la pena rilevare che le Sezioni Unite hanno qui superato, quasi sempre brillantemente, le obiezioni che venivano mosse alla estensione del nuovo rito alle controversie riguardanti l’an della pretesa dell’avvocato. Non così – e si coglie un certo impaccio - nell’argomentare l’irrilevanza della relazione illustrativa al D. Lgs. n. 150/2011, che giustificava come non fosse “stato ritenuto necessario specificare che l’oggetto delle controversie in esame è limitato alla determinazione degli onorari forensi, senza che possa essere esteso, in queste forme, anche ai presupposti del diritto al compenso …”.
Invece, altra obiezione che veniva mossa al criterio estensivo, basata su una ipotetica diseguaglianza, di possibile rilevanza costituzionale, nella diversa disciplina della liquidazione dei compensi degli avvocati rispetto alle altre categorie libero-professionali, viene superata in modo convincente, col rilievo che i compensi giudiziali civili degli avvocati pervengono al vaglio del Giudice dopo essere già stati oggetto di esame nelle cause cui si riferiscono e ciò spiega, ad avviso delle Sezioni Unite, anche la facoltà della difesa personale.

Merita rilevare che nel corso della lettura della cospicua sentenza in commento si colgono varie indicazioni e suggerimenti pratici preziosi, a volte tramite fuggevoli obiter dicta.
Così, in tema di competenza collegiale, viene ricordato come il comma 2° dell’art. 14 imponga, “nell’ipotesi di investitura del tribunale, … la decisione, ma non la trattazione, collegiale, peraltro in modo non diverso da quanto avviene sempre per le controversie di competenza collegiale di quel giudice”.
Ancora, sul punto della limitazione del rito sommario speciale alla liquidazione dei compensi maturati per prestazioni giudiziali civili, viene però ricordato – in linea con vari precedenti di legittimità - che in tale categoria rientrano anche le prestazioni “che si pongano in stretto rapporto di dipendenza con il mandato relativo alla difesa o alla rappresentanza giudiziale, in modo da potersi considerare esplicazione di attività strumentale o complementare di quella propriamente processuale”, ivi compresa la “transazione della lite … anche nell’ipotesi in cui non si sia verificata con conciliazione in sede giudiziale”. Cosicché dall’applicazione dell’art. 14 D. Lgs. 150/2011 resta “esclusa l’attività professionale stragiudiziale civile che non abbia detta natura, quella svolta nel processo penale (anche in funzione dell’esercizio dell’azione civile in sede penale) e amministrativa, o davanti a giudici speciali”.

E ancora, in tema di competenza per territorio, viene rammentato che il criterio stabilito dall’art. 14, co. 2° (è competente l'ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l'avvocato ha prestato la propria opera) resta fermo solo se l’avvocato segue tale via per l’accertamento e la liquidazione del proprio credito. Invece, se egli si avvale del rito monitorio, mantengono validità i criteri alternativi di competenza stabiliti dall’art. 637 c.p.c.. Ma se il cliente va qualificato come consumatore, la regola di competenza per territorio esclusiva prevista dal c.d. Codice del Consumo (cioè quella della residenza del consumatore) prevale su ogni altro criterio, sia che l’avvocato si tuteli mediante il rito monitorio, sia che promuova il rito sommario speciale di cui all’art. 14 del D. Lgs. 150/2011.

Viene anche precisato, dalla sentenza in esame, che qualora il cliente intenda proporre autonomamente (e non mediante opposizione al decreto ingiuntivo) l’azione di accertamento negativo dell’esistenza del credito dell’avvocato, egli non soggiace alle prescrizioni dell’art. 14, che si riferiscono alla sola iniziativa dell’avvocato ed alla opposizione al decreto ingiuntivo. Pertanto, l’autonoma azione di accertamento negativo del credito professionale proposta dal cliente è soggetta al rito di cognizione ordinaria o a quello sommario codicistico (generale e facoltativo).

Molto altro è dato ricavare da questa fondamentale pronuncia e solo per le contenute dimensioni volute per il presente commento, concludo con l’accenno ad alcune altre utili notazioni di taglio pratico.
Viene precisato:
- che le due possibilità alternative di tutela del credito professionale dell’avvocato (procedura per decreto ingiuntivo o rito sommario speciale) sono esclusive e, pertanto, qualora l’opposizione al decreto o la costituzione del cliente introducano in causa questioni che non possono essere decise col rito sommario speciale, deve farsi luogo alla separazione dei processi, applicando le regole generali del codice (artt. 31 e segg., 37 e segg.);
- che l’atto introduttivo del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo si deve intendere regolato, quanto alla forma dell’atto, dall’art. 702-bis, comma 1°, c.p.c., così come la costituzione dell’opposto deve seguire le prescrizioni del comma 4° dello stesso articolo; peraltro, l’eventuale introduzione dell’opposizione con atto di citazione sarebbe priva di conseguenze perché il giudice applicherebbe l’art. 4, comma 1° del D.Lgs. 150/2011, disponendo il mutamento del rito con ordinanza;
- che rimedio identico adotterebbe il giudice qualora l’avvocato presentasse il ricorso indicando l’art. 702-bis c.p.c. anziché l’art. 14 del D. Lgs..

In conclusiva sintesi, si può senz’altro rilevare che la sentenza in esame giova alla chiarificazione delle opportunità di tutela giudiziale del credito dell’avvocato, rimuovendo plurime preesistenti ragioni di pregiudizievole incertezza.

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